The wild, the Innocent & the E Street Shuffle.. in Rome!

Ho visto il passato, il presente ed il futuro del Rock 'n Roll, ed il suo nome è sempre lo stesso: Bruce Springsteen, l'unico Boss della musica mondiale.
Il concerto a Roma di ieri, 11 Luglio 2013 resterà indelebilmente nelle orecchie, nella testa e nel cuore per moltissime ragioni: la tappa romana dell'eterno tour Wrecking Ball è stato un ennesimo evento, un termine che ormai suona quasi ovvio, obsoleto quando di parla delle sue performances.



Ogni volta il concerto diventa un happening, ogni spettacolo sembra migliore del precedente, ed il successivo sarà sicuramente più bello: questa è la filosofia ufficiale di ogni Springsteeniano, uno strano apostolo laico di un culto ormai quarantennale, e la setta di adoratori dell'uomo di Asbury Park ama ritrovarsi all'aperto (preferibilmente), in un tempio improvvisato, tra colonne di casse e timpani di luce, tutti pronti a recitare il verbo del Boss parola dopo parola, nota dopo nota, come in una enorme messa collettiva.

Il pubblico del Boss non è fatto di semplici fan (termine che rimanda a fanatici, ed in questo caso siamo oltre..), bensì di veri e propri adepti trans-generazionali: a Roma sono stato in piedi (poco seduto ahimè), appiccicato a migliaia di altri adepti di ogni età: alla mia destra nonno, figlia e nipotino, tutti immancabilmente con T-shirt celebrativa di uno o più concerti, tutti inevitabilmente provetti background singers che cantavano a squarciagola ogni canzone, in ogni momento.



Il concerto del Boss prevede dei passaggi rituali obbligati a cui tutti devono partecipare: si va dalla lunga fila ai botteghini, con 30 gradi alla poca ombra, alle minacce di pioggia, alla corsa per occupare lo spazio (esiguo) sul prato, dalla con divisione del cibo e bevande, all'acquisto compulsivo di memorabilia, dalla narrazione epica dei concerti precedenti (che ogni volta sembrano accrescere l'evento, con aumenti sospetti di ore della performance e di numero delle persone...) alla check list dei concerti visti negli ultimi 10 anni, che sfociano poi in sguardi di bonaria comprensione nei confronti dei neo-adepti e dei rookies del concerto. Ma i veri Springsteeniani lo sanno, stanno al gioco, e passano ogni momento di questa interminabile giornata con lo sguardo speranzoso in avanti, già pregustando le note e la notte che incombe su Roma.



Dopo estenuante attesa, in un catino di polvere e sudore come  il famigerato Ippodromo di Capanelle, che avendo licenziato i poveri cavalli ha trovato un'altra, proficua mandria da rinchiudere nelle stalle, tutti in piedi o accovacciati su un prato dissestato come può esserlo solo una pista battuta dagli equini, con crampi improvvisi a membra del corpo a cui non si penserebbe mai parlando della possibilità di crampi, insomma alle 20.50 (con ben 20 minuti di ritardo, un'attesa standard nel mondo del rock, ma che qui spinge a critiche apocalittiche...) entra la E Street Band, e con la band la musica di Ennio Moricone, omaggio a Roma, e prefigurazione dell'intreccio Roma - New York che seguirà di lì a poco.

Le note di Moricone sfumano in quelle di Spirit in the Night, un pezzo epico di 40 anni fa'. Un momento (il dubbio si insinua negli aruspici Springsteeniani): perché Spirit in the Night? cosa ci  aspetta stasera?
Ed allora tutti a fare ipotesi, speculazioni, sulla scaletta romana. Già perché – si sa – per il Boss ogni concerto è unico, irripetibile, ed allora tutti ad immaginarsi una concerto diverso, ispirato dalla città eterna, o chissà che cosa…


Al secondo pezzo My Love Will Not Let You Down”  e quindi  “Badlands un’idea comincia a prevalere nelle testa del fan: 1973 – 2013, sono quarant'anni da quel capolavoro dal nome The Wild, The Innocent and The E Street Shuffle, vuoi vedere che Bruce ha deciso di festeggiare qui l’anniversario?

In effetti è così, e mai notizia musicale fu più gradita alle mie orecchie (ed a migliaia di altre orecchie suppongo) in questa notte calda ed appiccicosa di Luglio.

L’album è una colonna sonora perfetta delle utopie e del rock degli anni ’70, e tutti noi lo abbiamo amato, al pari di Born to  Run, molto prima del successo globale di Born in the USA; è un album fatto di suite lunghissime, di storie urbane, di personaggi newyorchesi che sembrano uscire dalla penna di Paul Auster e De Lillo, e tutti noi ragazzi di un tempo abbiamo sognato di scappare via con Rosalita o di baciarci alla luce della luna ascoltando la New York city Serenade…

Il corpo (in ogni suo muscolo residuo) fa male, ci si muove a malapena, ognuno stretto sulla sua mattonella di prato, appiccicati gli uni agli altri, eppure in  estasi, quasi shoccati dalla forza della musica, dalla potenza delle casse che lì, a 10 metri dal palco, ti anestetizzano il dolore come e meglio della tachipirina.
I concerti del Boss però sono anche un enorme Juke Box: con un repertorio di oltre 40 anni di musica, la band accetta consigli, e così inizia il rito dei cartelloni con le richieste musicali sventolate dai fan, lui ne raccoglie  un po’ li stende sul palco, a mo’ di celebrity walk, e decide quale proporre con  la Band: Roulette, Lucky Town, e poi un trio rock: Summertime Blues, Stand on It, e  Working on the Highway-

Il Boss ha quasi 65 anni,  ma vederlo così, saltante ed urlante, che si muove freneticamente sul palco, si stenta a crederlo: la sua vitalità è contagiosa, si fatica non poco a non cadere addosso ai vicini, eppure lo status di sardine inscatolate ci costringe a muoverci al massimo come dei provetti Mr Bean.



Bruce gioca ancora sulle onde della nostalgia, ed a noi (a me) sta bene così: Candy’s Room , Brilliant Disguise,  legate da una straordinaria She’s the One nel mezzo.

Ormai abbiamo superato le 2 ore buone di show, siamo esausti più di lui, eppure  the best is yet to come… Ecco la sorpresa romana:  Il Boss ci riporta al quel 1973 seguendo addirittura l’ordine del Disco: Kitty's back per oltre 15 minuti, poi la sua personale versione di West Side story con Incident on the 57ty Street, ed allora non può mancare Rosalita ed infatti eccola qua!   Ammetto che Rosalita è tra le mie canzoni del cuore, ed allora non criticatemi se all'improvviso, inattese come un sole a  mezzanotte, mi scappano persino 2 lacrimucce mentre ondeggio nella folla... 

Il quadro del 1973 prevederebbe allora un'inedita - almeno dal vivo - New York city serenade, ma è improbabile che  questo pezzo, una vera e propria suite da teatro, possa essere  suonata qui, tra l'aeroporto e la stazione. Improvvisamente però scorgo dei violinisti, musicisti dell'orchestra Roma Sinfonietta proprio di Moricone, ed allora spero. La speranza si fa realtà: La più bella serenata del rock esce dalle note del piano di Roy Bittan e dagli archi delle violiniste, i cui volti appaiono rapiti e concentrati, come stessero vivendo un sogno, sui maxi schermi.

La magia è completa, almeno per me. Io sono già felice come un bimbo così. Ma il Boss non può, non vuole smettere, come in un raptus ricomincia a suonare dopo aver salutato gli orchestranti ospiti.  La fine è dedicata ai super-classici, ai blockbuster da concerto live: Land of Hope and Dreams (con straordinari richiami al folk irlandese, quasi in una scena tratta da gangs of New york), poi le immancabili Born to Run, Born in the USA, e l'attesa Dancing in the dark, il pezzo che normalmente vede  la performance "teatrale" del boss con una ragazza dl pubblico: stasera invita a salire una ragazza che aveva mostrato un cartello con la richiesta: If you dance with me, he will marry me.  Il Boss lo fa, e dopo il breve ballo invita il ragazzo a salire, e lo costringe a dare l'anello alla ragazza, come in un film, o in un salotto di Maria de Filippi, fate voi....

Il rock torna come un temporale: Twist and Shout, omaggio ai Beatles e vera calamita di cori e balli in platea, poi Shout, come  in un film anni 60, ed il tributo al suo mega-gruppo con 10th avenue Freeze out, che racconta la nascita della E street Band ed il giorno in cui "The big man joined the band" ed allora l'immagine del grande Clarence Clemmon appare su tutti gli schermi, e duetta con Bruce, in una sorta di gioco con il tempo che annulla la morte, e da vita alla grande musica, e tutti noi ci commuoviamo un po'..



La E street band saluta, la gente è letteralmente in delirio, le mani che ondeggiano in aria alzano, finalmente, un leggero vento nel catino  immobile. Tutto sembra finito, ma  lui ne ha ancora: da solo, con la sua chitarra acustica e l'armonica a bocca resta  lì, si piega  un po' sulle gambe, come un maratoneta all'arrivo, beve da un bicchierone di Gatorade poggiato sul piano e torna verso di noi per sussurrare la sua personale buona notte: la MIA Thunder Road, il suo pezzo per eccellenza nel mio personalissimo olimpo.

Ora sì che che è finito.  Almeno fino alla prossima volta




Commenti

Moky in AZ ha detto…
Bellissimo resoconto di una serata magica! Ormai tu puoi morire felice...
E' vero che a vederlo non sembra che abbia 65 anni, per niente....

sola una nota di spelling (sai che sono una rompicazzo): e' Asbury, non Ashbury...
Simo ha detto…
Senza parole....ho veramente sognato leggendo questo dettagliatissimo resoconto della serata.... non sono così esperta dei primi album, ma New York City Serenade deve essere stata davvero uno spettacolo!
Quasi due anni di tour.... e stiamo già giungendo al termine...che strano. Ne sentiremo nostalgia.
Simo ha detto…
Ps: non per essere puntigliosa, ma quando si tratta di un cantante rock di quell'età, anche un anno può fare "un tour di differenza": Bruce ne ha ancora "solo" 63 e mezzo!! :)
fabio r. ha detto…
@moky: correzione avvenuta, mi era sfuggita l'H (ash, sarà freudiano?) grazie!
@simo: è vero, è ancora un giovanotto lui, dentro e fuori, poi se pensi che Keith Richards ne ha 75 circa, ti viene da pensare :-) NYC serenade è stata un delirio, sembrava di stare veramente dentro un film, una via di mezzo tra colazione da Tiffany e Manhattan di Allen.. almeno per me !
Baol ha detto…
E' incredibile il mio potere di perdermi concertoni uno via l'altro...

-.-

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