Schegge di viaggio 3: Il Connemara




CLIFDEN: la “Capitale” del Connemara , nulla è più “western” di questo caposaldo del Connemara, il cuore del “Far West” irlandese, al termine di un percorso che costeggia maestosamente scogliere e spiagge, oceano e terra chiara; le case colorate di Clifden sembrano spuntare dalle illustrazioni di qualche libro per l’infanzia: il rosso ed il verde, il marrone ed il blu si accostano e si alternano come in un quadro di Van Gogh, in una sorta di policromia etilica che immancabilmente corre verso la costa, ed il mare che qui non è mai troppo lontano.
Le strade della piccola città nel Connemara sono invase da una folla variegata di turisti europei, tra cui campeggia senza pari l’idioma italico, inevitabilmente udito nei pressi della shopping area locale, voci che sembrano cercare l’ennesimo folletto di peluche da acquistare a prezzi stracciati, e che di conseguenza mercanteggiano alla moda della casbah araba.
Tesi sopra i nostri nasi, tra una casa colorata e l’altra, quasi sospesi nel vuoto del cielo irlandese, sono appena visibili i gagliardetti della Guinness che pubblicizzano una qualche festa locale, uno dei tanti momenti ludico-sociali che sembrano rappresentare l’humus stesso di questa terra, nell’estate non ancora calda.
L’impressione generale che questo ultimo scampolo del Connemara ci lascia, è quella del grande bazar del folklore celtico, forse anche a causa dell’inattesa natura variopinta delle piccole case, adatte al piccolo popolo, che continua a gozzovigliare tra birra e whisky nella terra dell’ovest, la cui storia ancestrale viene purtroppo svenduta in pacchetti di carta (policroma anch’essa) ad avidi turisti poveri di spirito.

CONG: qui siamo inevitabilmente (ed in modo piuttosto inatteso) nel bel mezzo del set cinematografico irlandese più famoso nel mondo; Cong è la culla del “Quiet Man”, e lo spettro di John Wayne ci insegue lungo le piccole strade interrate, ed i muretti a secco che costeggiano il cammino, in una mattina anch’essa spettrale, madida di pioggia, in cui sembra che le uniche forme viventi a due zampe siamo proprio noi, turisti alla ricerca dell’ultima fascinazione della settima musa.
Il sentiero ( poiché proprio di un sentiero si tratta) che conduce a Cong passa attraverso una fitta foresta che nulla parrebbe invidiare alla Arden Shakespeariana, e da qualche cespuglio ci sembra effettivamente di intravedere un folletto che sbircia il nostro (quasi irriconoscibile, da quanto è sporco) cavallo d’acciaio e plastica.
Il Pub della nostra memoria filmica ci attende sotto la pioggia scrosciante di un inatteso temporale estivo; impavidi ci addentriamo all’ interno delle esili mura civiche, ed il nostro sguardo si posa immancabilmente sui vari cimeli cinematografici del film di John Ford, dalle foto della location originale, alle lettere, alle suppellettili teatrali utilizzate in quella occasione, e che infatti non troviamo nella realtà geografica del luogo.
L’assenza più evidente nella piazza dello pseudo-pub “Mc Cohan” (una vecchia ferramenta chiusa, in realtà..) è la fontana, dove i due futuri cognati del film caddero al termine di una interminabile, quasi epica, scazzottata irlandese.
La nostra curiosità di dotti cinefili viene però appagata dal percorso lungo le strade esterne al centro storico, allorché -passando sopra un ponte - improvvisamente ci appare Mauriel O’ Hara trascinata per i capelli da John Wayne, nell’atto estremo di amore e sottomissione al proprio uomo che la conduce a casa; ora quelle strade di celluloide sono sotto i nostri piedi, vive ed umide di acqua e fango, e noi ci nutriamo dell’ultimo mito moderno di un’Irlanda bucolica, che ormai appare solo nelle tante cartoline del luogo, spettro di un’idea, “ghost of a smile” per gli amati Pogues.

GALWAY: la città fantasma che ci accolse durante il primo viaggio irlandese, protetta dalla nebbia e dalla notte natalizia, ora esplode in tutti i suoi colori estivi: la folla traborda dai pubs, le strade sono piene di musica e di vociare multilingue, la Guinness quasi strabocca dalle pinte che a malapena si reggono in piedi , in equilibrio sugli spigoli delle finestre e sulle ginocchia delle ragazze, già ebbre di sguardi e di luppolo.
Il mare si vede quasi da qualunque posizione, la ricerca spasmodica di un ennesimo B&B si conclude fortunatamente con successo, a pochi passi dal centro storico, dalle arterie consumistiche di questa città di mare, sebbene ce ne accorgiamo troppo tardi, visto che la macchina la prendiamo di nuovo, per avvicinarci ai parcheggi del centro, mentre sarebbero bastati quattro passi per raggiungerlo comodamente, ma l’inesperienza della geografia luminosa di questo luogo ( comparato con le prime esperienze notturne passate) ci induce in errore.
La luce del sole al tramonto illumina le tante vetrine dei pubs, delle librerie e di altri, strani, negozi, che rammentano qualche località balneare italiana, forse anche a causa della forte persistenza del nostro idioma da queste parti: effettivamente le strade che conducono al porto sono addirittura invase dagli immancabili zainetti “Invicta” dei nostri cari (e rumorosi) connazionali, come nessuna altra città irlandese, forse.
Il fascino della cultura mi avvolge all’interno di una vecchia biblioteca, prospiciente ad un pub (l’anima irlandese, dopo tutto, è proprio figlia di questa affascinante connessione..), e per qualche minuto - che ai miei compagni di viaggio dovrà essere sembrato eterno - mi perdo tra le pagine di libri e riviste, uscendo, giustamente trionfante, solo dopo aver accuratamente acquistato una dispensa di storia locale, pronto per festeggiare dopo la fugace cena con un’appropriata pinta di Guinness.
Galway è anche una sirena che ci chiama verso il mare, e dalla spiaggia appena illuminata dalle luci dello shopping, riusciamo già ad immaginare, se non ad intravedere, le isole Aran, meta agognata della gita del giorno seguente.

Commenti

Grazia ha detto…
Mi è venuta voglia d'Irlanda.

Post più popolari